Catania, 8 giugno duemilaventicinque, 37 gradi. In macchina non c’è l’aria condizionata. Con Alessandro tentiamo di trovare un negozio aperto per comprare un ventilatore portatile o un ventaglio ma è domenica mattina. Niente, tutto chiuso. “Chiama Graziano, diglielo”. Graziano risponde, minaccia di non uscire di casa, di struccarsi e spogliarsi. Troviamo una fotocopia del libretto della macchina, sarà il suo ventaglio. “Graziano, puoi scendere”. Da una palazzina a due piani di Fossa Creta viene fuori Grazianall. Tacchi vertiginosi, pantalone elegante, gilet scollato, un’acconciatura rossa sgargiante. Era favolosa. Entra in macchina, lancia una serie di improperi per il caldo. Si accaparra la fotocopia del libretto e inizia a sventolarsi a una velocità supersonica. “Graziano, hai tutto?”. “Sì certo”. “E la tessera elettorale?”. “Torna indietro!!!”. “L’hai dimenticata?”. “No, non l’ho trovata, l’ho persa. Torniamo a casa a cercarla!”. “Andiamo a chiedere il duplicato”.
Cambiamo strada. Non era previsto. Quando abbiamo pensato al valore simbolico di portare tutto il Catania Pride a votare per il referendum in Drag, chiedendo alle Drag di Open di metterci faccia, corpo, trucco e coraggio, ci siamo più volte immaginate le Drag al seggio ma non avevamo preventivato le Drag all’ufficio elettorale del Comune. La macchina è bollente, dai finestrini entra un vento bollente ma arriviamo in fretta. Grazianall esce dalla macchina e si dirige sfilando verso l’anagrafe. Il parcheggiatore abusivo è ammirato ma non riesce a pronunciare alcuna parola. Una coppia di ragazze, ferma Grazianall per fare i complimenti per il trucco. Un vigile urbano ci ferma, è imbarazzato, squadra Grazianall come se fosse una specie di essere vivente giunto da un altro pianeta. “Cosa avete bisogno? Carta d’identità?”. “Tessera elettorale”. “Ah, prego, accomodatevi”. Con un sorriso ancora esterrefatto ci accompagna in ufficio e decide di restare dentro.

Nella stanza c’è l’aria condizionata. Due signore simpatiche alle scrivanie fanno un sorriso gigante vedendoci arrivare. La più vicina, chiede a Grazianall la carta d’identità, la guarda, poi guarda Grazianall, poi la riguarda, poi guarda Grazianall. Con un sussurro si rivolge alla collega e al vigile urbano: “lo state vedendo anche voi, è un po’ diverso dalla carta d’identità, è…è…qua c’è scritto Graziano, giusto?”. Alessandro comprende immediatamente che la funzionaria non ha ben capito se si tratta di persona trans o no, e felinamente rompe l’imbarazzo. “È una Drag!”. “Ahhhh”. Grazianall riporta la calma: “Graziano, signora, Graziano”. “Ahhh, bene. A me piacciono queste cose. Mi piacciono gli spettacoli, vorrei partecipare. Cioè, non so se mi ha capito, no partecipare, assistere. Mi piacciono molto”. “Grazie signora, può venire al Pride, ci esibiremo”. “Ahhh, bello. Comunque hai un bel trucco, sei molto elegante, molto bella, bello, bella. Bella”. “Grazie signora”. “Qui c’è la tessera”. “Signora vogliamo fare una foto?”. “Sì, sì, magari. Sì”. La collega aveva assistito in silenzio a tutta la conversazione, divertita e partecipe, ma a quel punto si incupì, cambiò volto. Grazianall capì immediatamente. “Signora, viene anche lei? Si fa la foto con noi?”. “Certo, subito. Arrivo”. Era tornato il sorriso.

Si va al seggio. Il caldo peggiora, la macchina è infuocata, la parrucca comincia a scollarsi. Direzione scuola elementare Pizzigoni, il seggio di Parmagianna. Arriviamo, parcheggiamo, mentre Grazianall raggiunge il marciapiede, Parmagianna sbuca da dietro l’angolo. È favolosa. Avete presente quei film americani nei quali la Presidente è una donna? Quelli nei quali appaiono donne in carriera elegantissime e impeccabili? Era lei. All’ombra di un piccolo albero aspettiamo che arrivino le altre attiviste del Catania Pride. Arriva Rachele, poi Ludovica. A bordo di una vespa elettrica, col sigaro in mano, arriva Alexander Brown (è il suo vero nome, non da Drag). In bicicletta spunta Alberto.

Io ero passato dal seggio la mattina presto per avvertire il presidente che una rappresentanza del Catania Pride avrebbe votato nella sezione e che sarebbero stati presenti alcuni giornalisti ad immortalare la scena. Non avevano idea di cosa significava ma era giusto avvisarli. Con una camminata a metà tra un Pride e un plotone militare entriamo a scuola. Siamo tesi. Pensiamo in una piccola porzione della nostra testa che qualcuno ci fermerà, che ci faranno problemi, che dovremo litigare, che i piantoni delle forze dell’ordine ci bloccheranno, che dovremo combattere per ottenere di andare a votare per come siamo, per come vogliamo essere, liberamente, con parrucca e tacchi alti. Siamo talmente tesi che basta il sussurro di una signora “ma che sono queste?” a fare infuriare Alessandro, che subito si pone a protezione di tutto il gruppo. “Drag, signora, sono Drag. C’è qualcosa di male?”. “No, no, mi sembravano delle VIP”. “Sono delle VIP! Siamo persone importanti, tutte le persone sono importanti”. “Sì, ma non si arrabbi”. “Signora, passi quello che abbiamo passato noi, nella nostra vita: le discriminazioni, gli insulti, i sorrisini, le frasette. E poi capirà”. Entriamo. Alessandro confessa: “ho esagerato ma non chiederò mai scusa”. I poliziotti all’ingresso non battono ciglio. Parmagianna entra da star, seguita da Grazianall. Sbaglia per tre volte il corridoio ma con una serie di piroette imbocca le scale giuste verso la sua sezione. Non cammina, sfila. Non corre, danza. E così arriva davanti l’aula. Nel corridoio incontriamo Amalia, compagna di mille battaglie, ci abbraccia e ci ringrazia. Finalmente Parmagianna vota, in Drag. Siamo fiere, ce l’abbiamo fatta. Ma non c’è tempo per festeggiare. Deve ancora votare Grazianall.

Si risale in macchina. La temperatura dell’acqua è talmente alta che una serie di spie iniziano a lampeggiare. Cambio auto, prendiamo la macchina di Alessandro, ha l’aria condizionata ma anche un piccolo difetto: se si tiene accesa l’aria condizionata l’auto cammina a venti all’ora e non c’è verso di accelerare. Piano piano ci dirigiamo verso la scuola Pestalozzi al Villaggio Sant’Agata, quartiere popolare della periferia sud di Catania. L’avventura si è tramutata in una piccola carovana: la macchina di Alessandro, quella di Rachele e la vespa elettrica di Alexander Brown.
Arriviamo alla scuola Pestalozzi. La parrucca di Grazianall è quasi del tutto scollata sul lato sinistro. “Se fate foto, mi raccomando…con questo caldo è un disastro”. Anche in questo seggio avevo avvertito che saremmo passati. Siamo più tranquilli, abbiamo già collaudato che si può fare. Ma qualcosa va storto. Dalla finestra di una sezione del piano terra della scuola una presidente di seggio ci vede arrivare e inizia a parlare con gli scrutatori: “ma chi sono questi? Che cosa vogliono fare?”. Nell’androne della scuola ci sono due poliziotti come piantoni. La signora si avventa su di loro e ad alta voce sentenzia: “sono uomini, vestiti da donna non possono votare, non è consentito, dovete intervenire”. Il corteo a protezione delle Drag avanza verso la sezione del primo piano, ammonendo la signora: “ce lo ripeta? Con noi ci sono giornalisti, lo ridica? Ci dica il suo nome? Quale legge sta citando. Ci dica. Appena finito di votare torneremo da lei così ci potrà ripetere quello che ha detto e faremo una bella intervista”. La polizia è immobile, non ci dice una parola. Arriviamo davanti al seggio. Grazianall entra nell’aula con la stessa enfasi con la quale sale sul palco. Ha un atteggiamento a metà tra una Presidente della Repubblica che si reca alle urne e Raffaella Carrà che apre uno spettacolo. Vota anche lei. Le scrutinatrici vogliono farsi una foto insieme, accettiamo. Salutiamo. È finita. Ce l’abbiamo fatta. Scendiamo le scale sicuri di andare incontro a problemi. Ma la presidente dell’altro seggio si è dileguata. Ma ci ferma un poliziotto. “Lo sapete cosa spero?”. “Cosa?”. “Che questa notizia non faccia clamore. Perché se fa clamore vuol dire che non è normale. Mentre in realtà deve essere normale. Dobbiamo tutti essere liberi di fare quello che vogliamo, se non fa male agli altri. È una cosa buona”. “Ha ragione, siamo d’accordo. È bello quello che ha detto. Grazie. Buon lavoro”.

Ci rimettiamo in macchina. Alexander Brown va a votare, anche Ludovica. Noi è come se avessimo portato a votare l’intero Pride. Volevamo dimostrare l’alleanza con il lavoro e i diritti ma volevamo anche dimostrare che si può fare. Che se ci metti una buona dose di coraggio, puoi spaccare tutto: consuetudini, prudenze, tristezze, oppressioni. Ce lo ricorderemo questo giorno.